Evidenze storico-artistiche
In pieno centro storico si trova il Castello Macchiaroli: di impianto risalente verosimilmente all’età normanna, subì un deciso ampliamento per interessamento del re di Napoli Ladislao di Durazzo all’inizio del sec. XV, nel periodo in cui la cittadina di Diano fu annessa al demanio regio. Fu successivamente rafforzato dai Sanseverino, divenuti nuovamente proprietari del feudo, e ulteriormente potenziato nel 1487 da Ferdinando d’Aragona, dopo la congiura dei Baroni: egli si premurò di stanziare, al fine di ingraziarsi i Dianesi, fieri sostenitori dei Sanseverino, ben ottomila ducati destinati a opere pubbliche. Altri lavori di risistemazione si devono anche ai Villano, già signori di Polla, una volta divenuti proprietari del feudo. Cinto da una cortina pentagonale con torri angolari, il castello era dotato di due torrioni maggiori, il maschio, interno alla cinta, e la Torre della Lumaca, che dominava il Vallo di Diano: il palazzo interno invece presentava un cortile e un’ampia cisterna. A partire dal XIX sec. l’edificio assunse i caratteri di residenza privata, passando dagli Schipani a due famiglie locali: i Macchiaroli e i De Honestis.
Poco da presso si erge un Obelisco dedicato a San Cono. Eretto nel 1857 a seguito di un voto della cittadinanza per il cessato terremoto nella piazza principale del paese, venne completato nel 1887 grazie all’evergetismo dei cittadini emigrati nelle Americhe: si presenta come un tronco piramidale su base quadrata, alla cui sommità è posta la statua del santo patrono.
Nella vicina piazza è situata la Cattedrale di Santa Maria Maggiore: consacrata il 12 Agosto 1274, fu oggetto d’un consistente contributo da parte di Carlo I d’Angiò in segno di ringraziamento verso Ruggero Sanseverino per l’aiuto ricevuto contro Corradino di Svevia. Originariamente mostrava un impianto a croce latina, tipico dell’età angioina, ma attualmente si presenta con l’entrata principale diametralmente opposta alla principale, a causa dei rifacimenti seguiti al terremoto del 1857, che ne hanno celato la .struttura gotica. Si fregia di due notevoli portali: quello maggiore, opera del celebre scultore Melchiorre da Montalbano, è impostato con stipiti formati da un gruppo di colonnine corinzie e da un architrave piano, ornato di fogliame e sormontato da un arco a tutto sesto chiuso in un frontone triangolare, mentre quello laterale, datato 1508 e attribuito a Francesco da Sicignano, ricalca con un arco a tutto sesto e lunette quello principale. All’interno del monumento sono stati sepolti personaggi di rilievo, il cui rango si è tradotto nel valore artistico delle tombe: opera dell’artista senese Tino di Caimano era quella di Enrico Sanseverino, Gran Connestabile del Regno di Napoli e fondatore della Certosa di Padula, morto giovanissimo nel 1314, mentre a Francesco da Sicignano è stata attribuita la tomba del soldato danese Stasio Deustasio, scolpita nel 1472 e che attualmente raccoglie le spoglie del primo vescovo di Teggiano, Mons. Valentino Pignone. Si possono ricordare ancora la tomba del medico senese Orso Malavolta, giunto a Teggiano a seguito del principe Antonello Sanseverino e scomparso nel 1488, caratterizzata dallo stile fastoso e retorico tipico del classicismo rinascimentale, e quella degli Schipani, ultimi duchi di Diano. A Melchiorre da Montalbano si deve anche la realizzazione nel 1272 dell’ambone, destinato all’Evangelio, in stile tardo romanico con innovazioni gotiche e richiami orientaleggianti: sorretto da quattro colonne con capitello di diverso disegno, presenta nel prospetto principale una colonna tortile che poggia sulla schiena di un leone, volto a simboleggiare la Chiesa che possa su Cristo, sormontata da un gruppo scultoreo con la lepre, l’uomo e l’aquila, raffigurazione allegorica della lotta contro il peccato tra il corpo e lo spirito.
Sulla piazza medesima si trova l’antico Seggio, luogo di riunione del parlamento cittadino risalente al XVI secolo che ha subito numerosi rifacimenti: attualmente presenta una fontana pubblica e una composizione a piastrelle sulla parete di fondo con l’immagine di San Francesco d’Assisi. Sullo stemma è raffigurato l’emblema della città, una stella a sei punte con coda che rappresenta Diano insieme ai cinque casali del suo stato: Sant’Arsenio, San Pietro, San Rufo, Sassano e Monte San Giacomo.
Proseguendo ci si imbatte nella Chiesa di Sant’Andrea: a pianta centrale poligonale con abside, presenta nella facciata numerosi elementi architettonici e scultorei d’età romana reimpiegati. Al suo interno conserva due tavole di notevole interesse artistico: una trittico della Madonna col bambino in trono, datata 1499 e attribuita a Pavanino da Palermo, e una Madonna delle Grazie e SS. Andrea e Antonio, datata 1508, opera di Andrea Sabatini detto Andrea da Salerno. Non lontano si trova il Palazzo Vescovile, antico palazzo della famiglia senese Malavolta oggetto di un ampio rifacimento verso la fine del XVI secolo, che deve l’aspetto attuale aspetto a Monsignor Fanelli, il quale arricchì notevolmente l’edificio facendovi apporre il proprio stemma sul portale d’ingresso.
Si distingue per interesse artistico il Convento con la Chiesa della SS. Pietà. Fondato nella prima del Trecento, rimase delle monache di San Benedetto fino al 1470, quando i signori di Teggiano Roberto Sanseverino e sua madre Giovanna ne curarono il restauro e l’ampliamento, facendone donazione ai Frati Minori Osservanti di San Francesco, che vi si stabilirono fino alla soppressione sancita dalle leggi napoleoniche nel 1811. Il convento è articolato intorno al chiostro, realizzato da Francesco di Sicignano, che presenta nei sottarchi un ciclo pittorico sulla vita di San Francesco, mentre nel refettorio è presente un grande affresco raffigurante l’Andata al Calvario, realizzato nel 1487 a seguito della sconfitta dei Baroni da parte degli Aragonesi. L’impianto architettonico della chiesa mostra una lunga navata principale con abside poligonale dalla volta a ombrello, ospitante il coro in legno e la nicchia entro cui è allocato il Compianto sul Cristo Morto di Giovanni da Nola (1488-1588), mentre la navata laterale aggiunta è separata da archi acuti poggianti su basse colonne: tra le numerose opere d’arte custodite all’interno, va segnalato l’olio su tela con Il Sangue del Redentore del pittore pollese Nicola Peccheneda (1725-1804).
Nella cittadina spiccano altri edifici religiosi di particolare bellezza, come la Chiesa di Sant’Agostino. La struttura era connessa originariamente con il complesso conventuale degli Agostiniani, risalente al 1370 e soppresso nel 1809: l’edificio, che conserva ancora un chiostro a pianta quadrata delimitato da un muretto con sovrastanti colonne, su cui si impiantano cinque archi a tutto sesto per lato, presenta un portico le cui pareti e volte sono affrescate con scene della vita di Sant’Agostino. La Chiesa si presenta con una navata unica che ospita sei altari in marmo policromo e un coro, caratterizzato da un ricco apparato di stucchi: il pavimento in battuto cementizio mostra delle riquadrature in marmo con stemma centrale e alcune pregevoli lastre tombali, mentre in controfacciata si trova un organo in legno policromo intagliato. Al suo interno sono presenti quattro tele del Settecento: il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, realizzata dal pittore lucano Pietro Antonio Ferro, una Madonna col Bambino tra i Santi Agostino e Monica, probabilmente opera dello stesso Ferro, quindi l’Apparizione della Madonna a San Gaetano da Thiene e il Transito di San Giuseppe, entrambe di ignoto autore.
La Chiesa di S. Antonio dei Carboni, probabile cappella palatina dei signori di Diano, è invece tra le più antiche chiese cittadine di cui si abbia notizia: a pianta rettangolare con interno a tre navate, una delle quali mutilata nel 1958, conserva i ceri votivi detti “cinti”, portati in processione dalle donne in occasione delle festività dei santi venerati nella cittadina.
La Chiesa della Santissima Annunziata, originariamente parte del Complesso Conventuale dei Celestini, soppresso nel 1652, risale al XIV sec.: presenta un portico scoperto a tre arcate e un portale datato 1504 con soprastante bassorilievo in cotto, che raffigura l’Annunciazione. L’intero, a navata principale con navatella destra in parte occlusa, possiede tre altari: su quello maggiore v’è un grande polittico della fine del XVI sec. con l’Annunciazione, attribuito alla scuola toscana del Ghirlandaio, mentre nella parte superiore della pala viene rappresentato il martirio di Santa Caterina con santi.
La Chiesa di San Francesco, ristrutturata nel XVIII secolo, presenta una sola navata con ampio presbiterio e abside con coro: il soffitto dell’aula ripetuto nell’abside è opera datata 1745 del pittore Francesco De Martino di Buonabitacolo, mentre sulle pareti d’ingresso sono visibili alcuni lacerti di affresco originari di ispirazione giottesca. Faceva parte del complesso dei Frati Minori conventuali, risalente al XIV secolo e soppresso nel 1808 dalle leggi napoleoniche, attualmente incorporato all’interno del Palazzo Municipale.
Il Convento con l’annessa Chiesa di San Benedetto è stato costruito nel XV secolo in relazione al trasferimento, per ragioni di sicurezza, delle monache di San Benedetto dal sito su cui sorge la SS. Pietà, e conserva dell’originario impianto soltanto il portale rinascimentale con sovrastante finestra decorata e il cortile con scala di accesso al piano superiore: la chiesa ad aula congregazionale con altari laterali presenta invece un portale romanico incorniciato da elementi barocchi e conserva, al suo interno, diverse statue oltre che due tele del Settecento raffiguranti la Madonna del Carmine tra le SS. Anna e Scolastica e Noli me tangere.
La Chiesa di San Martino si presenta nella forma attuale in tre navate con due archi trionfali decorati, mentre nel prospetto v’è un ampio portico con tre arcate a tutto sesto: la statua del santo titolare è custodita all’interno di una nicchia nell’abside con volta a ombrello. Questo aspetto risale al rifacimento realizzato al principio del XVI secolo dal medico locale Giovanni Carrano, il cui stemma si trova scolpito in un capitello dell’aula sacra.
Infine la Chiesa di San Michele Arcangelo, risalente al XII secolo, doveva essere connessa con il Palazzo Carrano, di cui si suppone fosse l’aula sacra: è preceduta da un ingresso allocato sotto un portico a due arcate. L’interno presenta un presbiterio sopraelevato per la sottostante cripta di Santa Venera, coperta da volte a crociera su basse colonnine con capitelli zoomorfi, in cui si trovano alcuni affreschi, uno dei quali datato XV secolo raffigura una Madonna con Bambino e Santi: vi si conservano alcuni altorilievi con i simboli degli Evangelisti, anticamente parte dello smembrato ambone della Cattedrale.
Musei
Museo Diocesano di S. Pietro
Il museo è ospitato nella ex chiesa di S. Pietro, costruita sul podio di un tempio romano. Molti interessanti esempi di artigianato artistico, datati in un arco temporale dal XIV al XIX secolo, sono raccolti in questo piccolo spazio ottimamente allestito. Di particolare suggestione è la sepoltura monumentale del milite Bartolomeo, realizzata nel 1401 dalla nobile famiglia Francone all’interno della chiesa: stucchi policromi sull’arca e affreschi alla parete soprastante, che un tempo recava la copertura aggettante del sepolcro, attraggono immediatamente l’attenzione del visitatore. Molto bella la tomba monumentale dell’arcidiacono Guglielmo Rossi, datata 1512, uno dei capolavori scultorei in pietra di Teggiano, che richiama l’attenzione per l’espressività dei sostegni figurati dell’arca, rappresentanti l’uomo nelle sue tre età. Nella stessa pietra è stato scolpito un rivestimento cinquecentesco di altare con scene della resurrezione. Fra le opere pittoriche si distingue una crocefissione di scuola giottesca dalla cripta di Santa Venera e la quattrocentesca Madonna del Latte. L’artigianato liturgico di alto livello si è espresso, durante i secoli XVII e XVIII, nella statuaria lignea, nei busti reliquiari di taglia ridotta, idonei ad essere racchiusi in armadi, e nelle panoplie metalliche eucaristiche (ostensori, patere, calici).
Museo Lapidario Dianense
Il museo è stato allestito nella cappella di Sant’Eligio annessa al complesso ecclesiale di San Michele Arcangelo, e comprende una raccolta di pezzi scultorei, perlopiù architettonici, realizzati nella bellissima pietra calcarea di Teggiano. L’arco cronologico è lo stesso dell’uso della pietra: dall’età romana al Settecento. I pezzi più antichi sono la stele funeraria a edicola che rappresenta il defunto Samius in toga, tardo repubblicana, e un capitello romano figurato con teste femminili, databile al III-II secolo a.C.. Ad età imperiale si data l’epigrafe funeraria di Gaio Syneros che dichiara orgogliosamente la sua origine di Teggiano. Notevoli sono poi il telamone e la maschera teatrale, sempre in calcare, che un tempo ornavano verosimilmente un edificio per spettacoli romano. Si segnala inoltre un non comune frammento di una mensa ponderaria della stessa epoca. La serie di capitelli qui raccolti costituisce una sintesi della storia teggianese dal XII secolo all’età federiciana, al Rinascimento. La famosa Tavola Aragonese, un tempo murata nel campanile della cattedrale, è esposta sulla parete di fondo dello spazio espositivo, e ricorda ancora, se pur privata del testo epigrafico che l’accompagnava, la repressione della congiura dei baroni del 1485 e la cacciata dei Sanseverino dalle terre del Vallo. La ghiera dell’arco dei Malavolta della fine del XV secolo, si segnala per il lindo classicismo delle sue decorazioni vegetali e l’iscrizione nell’intradosso.